Io ho pochissimi ricordi.
Il più lontano è forse questo: sono seduta sul vasino in una stanza con un tavolo da pranzo e alcuni grandi che chiacchierano. Penso che fosse a casa della zia Ethel, sorella di papà, e la mamma non c'era; quasi sicuramente era in clinica per la nascita di Sergio quindi non potevo avere più di due anni e mezzo.
Più o meno alla stessa epoca ho un altro ricordo che sembra un film di Renè Clair: siamo a Fiume per il matrimonio di chissà quale parente della mamma, non so perché ma credo fosse una donna.
Dopo la cerimonia con papà e altra gente ci avviamo verso una casa dove c'è il ricevimento. Nel mio ricordo prendiamo un taxi anche se, data l'epoca e le abitudini mi sembra quasi inverosimile. Arriviamo a una casa e saliamo le scale ma, sorpresa! l'indirizzo è sbagliato e tutto il corteo ridiscende le scale. Proprio come in un film di Renè Clair.
Sono una bambina fortunata. Mangio banane che arrivano da Vienna, mi vesto con deliziosi abitini ricamati ordinati a Budapest che, insieme a Parigi, è ritenuta all'epoca, una delle capitali più eleganti d'Europa.
Abito a 'villa Mira, 194'. E' l'indirizzo di casa che mi hanno insegnato.
Oggi ancora se leggo il numero 194 ci aggiungo automaticamente 'villa Mira'. E' una villetta con un piccolissimo giardino e una bella veranda sulla facciata di cui papà va molto fiero. Nell'aiuola davanti alla veranda Cesare ha piantato una pianta di ortensia che crescerà a dismisura e farà la gioia degli occhi di tutti; anche dei passanti che si fermano, ammirati dalla quantità di fiori.
Pochi i flash della vita quotidiana. D'inverno, dopo il bagnetto, c'è l'uovo alla cocque nel bicchiere; col cucchiaino mi imboccano i pezzettini di pane immersi nell'uovo. Ma probabilmente d'estate era lo stesso.
Per merenda invece ci danno spesso, a me e a Sergio, il rosso d'uovo sbattuto con lo zucchero. Quando siamo un po' più grandi pesiamo le uova sulla bilancia in modo da averne esattamente la stessa quantità. Quando la mamma prepara un dolce ci lascia sempre un poco della crema in fondo alla ciotola; e anche lì, tiriamo una riga esattamente a metà perché uno non abbia da leccare più dell'altra. Chissà perché questa smania di giustizia!
Altro ricordo: avrò avuto forse quattro o cinque anni; mi hanno comprato la bicicletta e sto cercando di imparare. Non hanno ancora inventato le rotelline di sostegno e così, sul vialetto davanti a casa Cesare mi corre dietro reggendomi il sellino. Sento ancora la sensazione di felicità e di trionfo quando mi accorgo che mi ha lasciato e che sto pedalando da sola! Dalla finestra della cucina si affaccia qualcuno e mi porge una fetta di pane cosparso di midollo caldo ben salato. E' buonissimo!
Cesare cura i giardini di quasi tutte le ville dei dintorni e aggiusta anche i piccoli guasti di casa; è' anche un buon cuoco e nessuno è bravo come lui a fare gli sgombri ai ferri o quando si tratta di preparare i 'baci' che sono poi le meringhe.
È l'unico a cui riescono bene. Neanche Nora, la ragazza tuttofare è così brava.
Nora è una giovane allegra e giocherellona; quando giochiamo a nascondino riesce a ficcarci tra i materassi del lettone e ci copre con le coperte per non farci prendere. La sua mamma vive in una casetta piccolissima vicino al percorso del 'tram de Opcina'. Ha un cortiletto e un pezzo di prato. Alleva un maialino che scappa spesso e noi gli corriamo dietro. Dopo qualche anno Nora sparisce: è rimasta incinta e si sposa. Avrà una figlia che, sebbene più grande, molti anni dopo giocherà con Jemima.
Cesare è molto amico dei bambini e Sergio lo segue sempre come un cagnolino anche quando lavora in altri giardini.
Di fronte a casa nostra c'è la villa del capitano Pieruzzi. Ha figli molto più grandi di noi, ma noi abbiamo quasi libero accesso perché in cucina c'è Eva.
Eva è la cuoca dei Pieruzzi; è un'anziana (almeno così sembra a me) signora austriaca, sempre con grandi grembiuli bianchi e una cuffietta, che fa dolci fantastici; in una credenza ci sono sempre almeno un paio di torte e varie qualità di biscotti rinchiusi in scatoloni di metallo. Noi andiamo a trovarla e lei ci fa scegliere fra tutte quelle bontà. E' come un personaggio da fiaba, la fata buona.
In fondo alla stradina che, dopo un paio di altre ville si perde nei campi, c'è la casa della 'mlekaritza', la lattaia. E' una grande casa contadina con stalla e porcile che ci rifornisce di latte tutte le mattine; forse anche di uova. Tutti i nostri avanzi di cucina vengono messi nel secchio della 'levadura' e consegnati a loro per le bestie. E' una specie di raccolta differenziata ante litteram.
Una delle sorelle di quella famiglia è magliaia e confeziona indumenti di lana ruvida che gratta da tutte le parti.
La più giovane lavora nella farmacia.
La sarta invece abita nel centro del paese e viene ogni tanto a casa per aggiustare o confezionare abiti.
Una volta ci ha portato dove ammazzavano il maiale; ho un vaghissimo ricordo di un ambiente piccolo e semibuio con tanta gente. Mi ricordo anche che a quel calore, a quell'odore strano di vino e di sangue, mi aveva preso una sensazione di grandissimo benessere. Chissà perché.
Ogni tanto a casa arrivano i fornitori. C'è la donnina del pesce che si sente arrivare da lontano perché grida 'sardele sardele' e io capisco 'tadele tadele' e ha in bilico sulla testa una larga cesta piena di pesci. Per tenerla dritta c'è come una specie di corona di tessuto intrecciato che forma una base ben salda. Tutte le contadine usano questa corona anche quelle che portano i bidoni del latte.
Poi viene l'uomo coi lamponi che ha raccolto nei boschi e apre sul tavolo di cucina un fagotto di teli tutti arrossati che sembrano insanguinati, ma è solo l'umore dei frutti e ne esce un profumo incredibile che promette marmellate e sciroppi. Un bel bicchiere di acqua e 'frambua' è il massimo per la sete dell'estate.
E poi, nel primo inverno, ci sono quelli che portano le oche. Questo è un acquisto serio e impegnativo: la mamma e forse anche la nonna osservano, annusano, soppesano e, soprattutto valutano il fegato. Deve essere grosso, pesare almeno mezzo chilo o più per un'oca, poniamo, di dodici chili.
Un'oca così si mangia per una settimana.
Le parti più morbide si fanno a gulasch da mangiare con gli schlek-schlek, (letteralmente lecca-lecca) minuscoli gnocchettini di farina e acqua, le cosce si arrostiscono insieme al collo ripieno di riso, la carcassa diventa brodo, il costato viene ricoperto con un impasto di ritagli macinati e mescolati con pane bagnato, uova e chissà cosa d'altro e arrostito anche lui; è quello che amo di più perché è divertente rosicchiare la carne rimasta attaccata agli ossicini tutta bella abbrustolita. La mamma lo sa e me la tiene sempre da parte.
Il fegato viene messo a cuocere lentamente immerso nel suo grasso e diventa un capolavoro. Altro che 'fois gras'! La pelle viene tagliata a pezzetti piccolissimi e sciolta facendola friggere con qualche sottilissimo anello di cipolla. Pane e 'frizzi' ben salati: che merenda!
Invece la spesa si va fare in paese: frutta e verdura da Vittoria che ha un negozio proprio sul bivio della strada che porta verso la chiesa. Il suo 'boteghin' ha l'aria buia e sporca e poi tutti dicono che ruba. E allora perché andare da lei? Forse è l'unico.
Il resto degli alimentari si compra da Draschek( chissà se si scrive così). Lì c'è sempre una botte di legno piena di crauti e ci permettono di prenderne una manciata con le mani nude (alla faccia dell'igiene) e di mangiarli così: che buoni!
Invece i detersivi e altri generi si trovano in drogheria dove il proprietario ha un camice grigio e una faccia lunga lunga e il figlio è uguale a lui e c'è un buon odore di smalti e polveri strane.
Io mi diverto a pasticciare in cucina e quando torna papà gli presento quello che ho cucinato io in un bel piattino da portata e a lui piace tutto moltissimo.
Invece Sergio, che è bello come un putto con grandi occhi di velluto e coi riccioloni pettinati a banana ,mangia la sabbia (sabìa, dice lui) nella sabbionaia in giardino e poi ha i vermi, e quando giochiamo a nascondino si inginocchia in terra col viso coperto dalle mani, sicuro che così nessuno lo vede. Mi sembra proprio un po' scemo!
Ma 'scemo' è una parolaccia e non si deve dire.
Il cugino Oscar, detto Bubi, è il pierino della famiglia. Magro magro come un ragno con un gran nasone e occhi incredibilmente celesti, ne combina di tutti i colori. Ha sei anni più di me ma ogni tanto si degna di giocare insieme.
Oggi ci sono i pittori in giardino che stanno dipingendo di verde le sbarre del cancello, ma è ora di pranzo e sono andati a mangiare lasciando i secchi pieni di pittura .
Oscar si guarda in giro in cerca di qualche guaio da combinare. Ecco, passa un gatto. Oscar lo acchiappa e mi dice 'presto, prendi i pennelli che lo pitturiamo di verde' Povero gatto, è ancora lì che scappa miagolando, tutto a strisce verdi gocciolanti!
La zia Anna, mamma di Oscar è disperata per questo figlio così discolo. Non immagina che da grande somiglierà a Woody Allen e diventerà uno stimabilissimo studioso di economia nelle università americane e che, alla sua morte sarà compianto e ricordato da molti giornali.
Non abbiamo molti cugini con cui giocare; Magda e Buzzi ( veramente si chiama Riccardo) vivono a Fiume con la nonna e li vediamo solo d'estate. Lo zio Marco ha un negozio di merceria e gioca sempre al lotto. Una volta ha vinto tanto da poter installare in casa un bagno tutto nuovo. Finirà al confino a Eboli insieme a Carlo Levi.
La zia Szeren non è quello che si dice una bella donna e ha spesso una smorfia di disgusto in viso e papà la imita alla perfezione. E' quella, tra le sorelle Kloor, che fa più fatica a imparare l'italiano e siccome in ungherese non esistono gli articoli maschile e femminile, confonde sempre i generi e sarà chiamata 'la zia medicino'. Lei viaggia prenotando 'un cuccetto sulla treno'.
Le altre sorelle della mamma (sono nove e due fratelli) le vediamo poco; una si chiama Erzsi e ha sposato un sarto pugliese vedovo che ha già figli grandi (uno di questi, Guerino, diventerà cuoco di bordo e confezionerà il mio pranzo di nozze). La zia Erzsi ha due figli della nostra età, Otto e Mino, ma li vediamo poco, non so perché.
Poi ci sono le due sorelle più giovani, Tecla e Olga ancora signorine.
Qualche volta arrivano da Budapest la Julisch e la Margit. So che un'altra sorella, più vecchia vive a Parigi ma non l'ho mai conosciuta. E' morta in un lager.
I fratelli invece non li ricordo per niente; so che uno era una specie di manigoldo che ne faceva di tutti i colori. La leggenda vuole che una notte si sia rinchiuso nel negozio del nonno ( una specie di emporio, credo ) con una banda di amici par suo e l'abbiano devastato portandosi anche via una quantità di cose.
D'estate andiamo a Fiume a trovare la nonna e gli altri. La casa della nonna è proprio sul canale che funge da confine con la Jugoslavia. Nel canale sono attraccate le barche da trasporto e da pesca e c'è un continuo viavai di marinai che si fanno la doccia sul ponte e noi li spiamo.
Qualche volta stiamo affacciati alle finestre e ci divertiamo a sputare sulla testa dei passanti.
Io dormo in stanza con Magda e la zia Olga, la più giovane delle sorelle Kloor che è ancora signorina. Sergio dorme in un'altra stanza con Buzzi. Una mattina, appena ci vedono, si mettono a ridere in maniera sgangherata; sembra che siano entrati nella nostra stanza mentre dormivamo senza coperte per via del caldo e ci abbiano visto il popò. Che vergogna!
Qualche volta andiamo a fare il bagno a Laurana o ad Abbazia che è una località molto elegante con grandi alberghi di gran lusso. In un parco tutto fiorito vedo per la prima volta un pavone che fa la ruota.
Ad Abbazia imparo a nuotare facendo il giro intorno alla zia Olga che sta ferma nell'acqua bassa perché lei, invece, non sa nuotare affatto.
Ho cinque o sei anni. Ho voluto che i miei figli e i miei nipoti imparassero tutti a nuotare a quell'età.
Buzzi, che è il maggiore, ha un'idea: vuole organizzare uno spettacolo da fare in casa della nonna che è grande e si presta. Lavoriamo molto ai numeri da presentare. Magda, che ha gli occhi a mandorla e un'aria orientale si vestirà da cinesina e canterà, mimando, una canzoncina che fa ' Timelin, limelin, pam pam timelà .' E' molto graziosa e lo fa benissimo.
Invece io canterò una canzone del film 'Biancaneve e i sette nani' quella dove Biancaneve è costretta dalla cattiva matrigna a lavare in terra e lei sogna :' un dì per me verrà, un cavalier d'amor' più o meno. Mi vesto da poverella con un fazzoletto in testa e fingo di lavare il pavimento.
A proposito, ho visto il film da poco e lo specchio magico tra le fiamme mi ha spaventato a morte.
Buzzi invece, che evidentemente ama il jazz senza saperlo, ha preso una scatola di biscotti che ha una lunga scritta in ungherese sui fianchi, e la percuote ritmicamente inventando una melodia su quelle parole incompresibili.
In più canta anche la cavatina del ' Barbiere' ­Figaro qua Figaro là- Chissà dove l'ha imparata! E poi altre canzoni in voga in un ungherese maccheronico.
In ogni caso sono stati diramati gli inviti a parenti e amici con tale solennità che le signore sono andate dal parrucchiere e si sono messe tutte eleganti per l'occasione. Credo anche che abbiano pagato un biglietto ma non so più che fine abbiano fatto quei soldi.
Successone.
Gli altri cuginetti che avevamo erano Pucci e Robi. In realtà erano cugini di secondo grado, figli di Carlotta la figlia dello zio Bernardo, fratello di papà.
Loro stavano a Trieste ma in fondo non ci si frequentava molto. Tutti e due discoli e anche maleducati e comunque non fecero mai carriera di alcun tipo. Insomma sfigati, nonostante avessero cercato fortuna sia in Israele sia negli Stati Uniti. Non ho molti ricordi di giochi in comune; tutt'al più a Pasqua, le cene del Seder che si facevano in casa degli zii Bernardo e Sabina oppure qualche domenica in campagna con tutta una tribù di zie ingombranti e zii noiosi che parlavano jiddisch fra di loro. I figli dello zio Bernardo erano molto più grandi di noi, avevano quasi l'età dei nostri genitori. Due di loro erano medici e di questi uno andò a vivere a Genova dopo la guerra. L'altro aveva sposato una donna molto appariscente, forse di facili costumi, criticatissima dalle donne della famiglia. Avevano una bambina, Susi, che però non faceva parte della nostra vita. I suoi genitori le fecero fare ( come si usava ) delle fotografie nello studio di un fotografo. La fecero posare in mutande e bustino e fu uno scandalo!
Si impone una spiegazione: cos'era il bustino. Dunque: la biancheria dei bambini era quanto di più scomodo e demenziale ci si possa immaginare. Non esisteva la maglieria e le mutande erano una sorta di pantaloncini larghi di cotone con quattro asole; due davanti e due dietro. Il bustino era, come dice la parola, una specie di 'top' sempre di cotone bianco con quattro bottoni in basso che servivano per allacciare le mutande; a ogni pipì bisognava slacciare quattro bottoni di cui due sul retro. Si può immaginare qualcosa di meno pratico? Si capisce che i bambini erano impssibilitati a andare in bagno da soli fino a un'età ragguardevole.
Un altro dei figli dello zio Berl è diventato avvocato e più tardi si è fatto battezzare. Un altro ancora è partito per gli Stati Uniti, è tornato con l'esercito americano, ha disertato per restare in Italia ed è diventato insegnante di lettere in un liceo milanese. Si è saputo più tardi che si spacciava per scampato da Auschwitz e non aveva tutti i suoi venerdì.

In realtà noi, vivendo a Opicina, frequentiamo molto di più i bambini che vivono lì.
Ci sono due sorelle austriache, Hanni e Hilde figlie di una vedova di buona famiglia, che fanno le fraulein, le signorine, ai bambini della buona borghesia opcinese. Si sono suddivise le famiglie e a noi è toccata Hanni. E' di gran lunga la più dolce e simpatica, perché l'altra è molto più severa,fredda e comandina, una specie di nazista prima del tempo.
Probabilmente ha aderito poi con entusiasmo al nazismo vero e proprio.
Comunque sia, il gruppo di bambini con le rispettive fraulein, si riunisce spesso per giochi in comune, lezioni di ballo e soprattutto passeggiate in Carso. Conosciamo le doline una per una: quella degli iris, quella dove si raccolgono le violette e le primule o quella dei ciclamini. Ci infiliamo tra i cespugli, scavalchiamo i muretti a secco, ci caliamo in fondo alle doline per risalire passando dall'una all'altra. E' un miracolo che nessuno sia mai caduto in una foiba!
Cantiamo canzoncine e filastrocche in tedesco, leggiamo libri di favole in tedesco, impariamo a scrivere in tedesco usando i caratteri gotici.
Le favole sono spesse crudelissime e ce n'è una che si chiama 'Heino in Sumpf' che mi angoscia letteralmente. E' la storia di un principe, Heino che precipita in una palude, Sumpf appunto e soffre terribilmente; è un racconto sadico, orribile.
Le bambine con cui siamo più uniti si chiamano Fulvia e Nedda Schubert e i nostri genitori sono molto amici tra di loro. Lui, Michele, è un dentista austriaco, lei, Nera sarà sempre la prima a farci una visita di solidarietà quando in città avveniva qualche dimostrazione antiebraica durante il periodo delle leggi razziali.
Fulvia sposerà un avvocato ebreo e si convertirà insieme ai figli e ora è molto attiva nella Comunità ebraica di Trieste. Nedda sposerà un antiquario molto più vecchio di lei e andrà a vivere a Roma.
Anche Graziella e Lelietta sono compagne di gioco; sono le figlie del medico condotto, ometto piccolino che per qualsiasi disturbo prescrive 'olio di ricino'. Continuerà a esercitare per molti anni ancora,perché quando Jemima di metterà i sassolini di ghiaia su per il naso, sarà ancora lui a liberarla, ma senza olio questa volta!
E poi c'è Marisa Motka che vive in una grande villa e ha un fratello maggiore che è ormai un giovanotto (avrà almeno 18 anni) che organizza i giochi per le nostre festicciole. Marisa mi presterà un delizioso abito di taffetà stile Impero di un delicato color pesca quando dovrò fare la damigella d'onore al matrimonio di Salca, un'amica di famiglia. Si svolge in un grande albergo di Abbazia, roba di lusso.
Sergio, tutto vestito di velluto marron con camicia di seta color crema coi volants, col ricciolone sulla fronte, si distrae mentre regge lo strascico della sposa e quasi si strappa il lunghissimo velo. Sembra un film comico. Proprio alle spalle di villa Motka abita uno zio di Cesare dal quale lui spera di ereditare. Ha un orto bello grande con tante piante di ribes con cui fa una sorta di vino. La moglie è stata cameriera di una dama di corte dell' imperatrice Elisabetta e conserva mobili e oggetti di quell'epoca dorata. Quando lo zio morirà riuscirò a comprare un bellissimo tavolino da gioco appartenuto alla dama di corte che è uno dei pezzi di forza dell'arredamento di casa mia.
In fondo alla strada di casa, giusto prima della mlekaritza c'è una villa bella, grande, sembra vuota, ma un bel giorno arriva una famiglia con due figli un poco più grandi di noi. Sono due gemelli, Caterina e Baldo. Nel mio ricordo hanno un'aria aristocratica e un poco misteriosa. Sono simpatici ma molto diversi dagli altri bambini che frequentiamo. Giochiamo ogni tanto nel loro giardino senza entrare nella casa. Dopo pochi anni se ne andranno. Intanto, in ossequio alla buona educazione di stile austro-ungarico, ho imparato a ballare il valzer e a fare il knics alle signore quando saluto. Sergio è sempre più dispettoso e quando giochiamo a qualche gioco da tavolo deve sempre vincere lui altrimenti butta per aria tutto. Gli hanno comprato un bel vestito alla marinara e lui è tutto fiero e saluta con la mano tesa alla fronte come un vero ufficiale di marina. Ci deve essere una fotografia che lo immortala così. Ha avuto un attacco di ernia inguinale e lo hanno portato a Trieste in clinica per farlo operare.
Hanno rimodernato il bagno e 'Nando pitor' sta imbiancando le pareti. Ha in testa un cappellino fatto con un foglio di giornale e mi insegna come si fa. Un giorno entra nel bagno mentre sono seduta sulla tazza e mi vergogno da morire.
Ogni tanto sulle pareti si arrampica qualche scorpione e la mamma li fa cadere in un catino d'acqua aiutandosi con una scopetta, poi li butta nella tazza del cesso e tira l'acqua, ma io ho sempre paura che risalgano e mi pizzichino il popò.
Sulla parete difronte al bagno è comparsa una mappa dell'Africa dove papà punta delle bandierine. Mi spiegano che c'è una guerra in cui gli italiani stanno conquistando un paese africano che si chiama Libia. E' il 1936. E' anche l'anno in cui papà partirà per la Palestina; ancora non c'era lo Stato di Israele ma molti ebrei stavano già emigrando o almeno contemplano l'idea di fare quasi una specie di pellegrinaggio come per una inconscia nostalgia.
Qualche anno dopo, in seguito alle leggi razziali, anche Buzzi che ha circa 16 anni parte per andare in qualche kibbutz insieme ad altri ragazzi della sua età.
Al suo ritorno papà racconterà che sulla nave ha conosciuto tale signor Pasternak, fratello o cugino di un famosissimo produttore di Hollywood, con lui ha fatto amicizia e, a Tel Aviv, ha comperato un 'pardes', un piccolo appezzamento di terra con un aranceto. Magari un giorno si potrà costruire una casa e andarci a vivere. Lo venderemo molti anni dopo la sua morte senza averne fatto nulla.
Vado alla scuola del paese dove la maestra mi spiega che il mio nome, Miriam, è in realtà Maria e così mi chiama. Già nessuno mi chiama Miriam, immaginarsi Maria! Ma sembra che i nomi stranieri non siano ben visti dal governo fascista e dunque, vada per Maria.
Nella mia classe sono tutte bambine che in famiglia parlano slavo e conoscono tutt'alpiù il dialetto triestino. A dir la verità anch'io conosco qualche parola di slavo perché la gente del posto, le donne di servizio, nei negozi si parla solo quello. La lingua parlata a Opicina è lo slavo. Solo una delle mie compagne di classe parla italiano; si chiama Lia Fischer ed è la figlia del farmacista. Fra me e lei si crea una specie di competizione fra chi è la più brava. Siamo le uniche due che conoscono l'italiano anche se a casa mia nessuno lo parla davvero. Mamma e papà non l'hanno mai imparato veramente, tra loro parlano tedesco o dialetto triestino e per contare usano ancora la lingua madre, lei l'ungherese e lui lo jiddisch.
Però io so scrivere dei bei pensierini e piccoli temi. Una volta il titolo del tema è: ' qual è l'albero che preferisci'; Io mi butto in un'entusiastica descrizione del pesco, con tanti bei frutti, così buoni, così dolci, così succosi.
Ma Lia Fischer mi frega; lei, la paracula, preferisce il pino, perché i boschi di pino purificano l'aria e fanno tanto bene alla salute visto che ci sono tanti ammalati di tubercolosi. E vince il premio.
Io mi sento un verme di egoismo e superficialità.
In compenso, siccome so il tedesco mi improvviso maestra di lingua per le mie compagne più sempliciotte. Durante la ricreazione impartisco la lezione, assegno i compiti e arrivo perfino a convocare i genitori se non hanno studiato.
Un sorella della zia Sabina ha sposato Marco Fischbein che ha un bel negozio di impermeabili e altro abbigliamento sul Corso principale di Trieste. Hanno comperato una grande villa a Opicina, verso Obelisco e, d'estate, prendiamo l'abitudine di andare da loro tutte le domeniche pomeriggio. Arrivano dalla città anche altri parenti coi loro figli, ma sono tutti più grandi di noi e non è molto divertente.
I grandi si riuniscono a chiacchierare e a bere il the alla russa cioè addolcendolo con una caramella di zucchero d'orzo tenuta in bocca. Non hanno l'aria molto allegra; poi capirò che stavano arrivando le prime notizie allarmanti sull'avvento del nazismo in tutta Europa e delle prime manifestazioni antisemite.
A scuola, anzi al Ricreatorio gestito direttamente dai dirigenti locali del Fascio, viene organizzata uno spettacolo recitato dai bambini: si rappresenta la storia di Biancaneve che però, chissà perché, si chiama Nevolina.
Fulvia sarà la protagonista e Sergio il Principe Azzurro; io invece sono uno dei grilli che, insieme ad altri animali, cantano e danzano in onore della principessa.' Dolce Nevolina danziam per te'
L'anno dopo si organizza una Festa Campestre con gare e giochi per tutti i bambini. Io partecipo a una gara di bicicletta; sono molto alta per la mia età e quindi ho bisogno di una bici grande. Comincio la gara e subito sono davanti a tutti. Improvvisamente mi fermano e con una scusa qualsiasi mi cambiano la bicletta dandomene invece una piccolissima; naturalmente non vinco e ci resto malissimo.
Molti anni dopo ho capito: una bambina ebrea non poteva vincere!

Frequento la terza elementare e, come vuole il programma scolastico, prepariamo un saggio ginnico per il fine anno. Sono esercizi a corpo libero e con il cerchio, preparati da non so quale autorità dell'Italia fascista, che porteremo al grande incontro con tutte le scuole della città e che si terrà all'ippodromo di Montebello; è quanto di più simile a uno stadio che Trieste possa offrire. Sono la più alta della classe e, forse, la più brava e così mi tocca di capitanare le mie compagne in perfetta divisa di 'piccole italiane'a fare il giro della pista. Ma, vuoi per l'emozione, vuoi per insipienza, mi avvio nella direzione opposta provocando confusione e disordine dove invece la gioventù fascista avrebbe dovuto tenere un comportamento marziale, sportivo e perfetto.
Sarebbe stato la mia prima e anche ultima esperienza del genere.
Lentamente alcune cose sono cambiate: dopo Nora si sono succedute altre ragazze ma io ne ricordo solo una: si chiamava Mitzi Millonig, era austriaca e con lei si parlava solo tedesco; ho la sensazione che non mi fosse molto simpatica. Mi ricordo che mi aveva fatto una dedica sul 'libro dei ricordi' un piccolo album riservato ai pensierini delle amiche più care, che allora tutte le bambine tenevano in gran conto.
Nel frattempo Cesare si è trasferito a Gorizia a lavorare nella fabbrica di sapone di uno dei figli Pieruzzi, Emilio. Poi però è tornato e si è sposato con una ragazza istriana di nome Valeria e ora vivono in una casetta nella proprietà del nostro vicino, signor Maionica e fungono da guardiani. Ciò non toglie però che certe mattine mi sveglio col rumore del rastrello sulla ghiaia del giardino; è sempre Cesare che tiene in ordine tutto. Quel rumore mi da un senso di sicurezza, le cose continuano a essere al loro posto.
Il signor Maionica lo vediamo poco ma si sente la sua voce chioccia e strascicata che chiama:' Ceeesaree ' e gli da disposizioni per la giornata; Nel muro di cinta tra il suo giardino e il nostro c'è un piccolo varco e Sergio lo attraversa per andare a trovare il suo grande amico. Cesare e Valeria avranno un figlio, Gianni, che morirà tragicamente ancora molto giovane.

Autunno 1938. A pochi giorni dall'inizio delle scuole scoppia la bomba delle leggi razziali.
Siamo nel giardino dei Fischbein e tutti sono scurissimi in faccia. Come già nella Germania nazista anche Mussolini ha varato leggi durissime nei confronti degli ebrei: fuori dall'esercito, fuori dagli esercizi pubblici, fuori dalle cariche amministrative e politiche e, soprattutto, fuori dalle università e da tutte le scuole del Regno, sia docenti che studenti.
Improvvisamente tutto cambia. Non abbiamo più diritto a frequentare la scuola e per fortuna che la Comunità ebraica è stata rapida a organizzare una scuola dove accogliere studenti di tutti i corsi e di tutte le età, dalle elementari ai licei. Ha messo a disposizione un caseggiato in via del Monte a Trieste, ha raccolto gli insegnanti ebrei della città ( e ce ne sono anche di universitari ) e, in pochi giorni ha aperto una scuola perfettamente funzionante; ovviamente non è riconosciuta legalmente e bisognerà sostenere gli esami di fine ciclo nelle scuole pubbliche. Ma non importa. La cosa essenziale è quella di non privare i ragazzi ebrei del diritto allo studio.
Tutto questo però ci costringe a cambiare casa, compagni e stile di vita; la scuola ora si trova in città e dobbiamo trasferirci per poterla frequentare. Per il momento traslochiamo in casa della zia Ethel, sorella di papà, che ci accoglie in via Petrarca.
La zia Ethel ha due figli molto più grandi di noi Gina e Velia. Gina è già una zitella bruttina, con spessi occhiali, che ha studiato pianoforte e tenta di dare lezioni. Ci proverà anche con me con scarsissimi risultati e ancora me ne pento. A un certo momento, forse con l'intervento di qualche sensale di matrimonio, sembra che Gina abbia trovato un fidanzato. Per qualche giorno si comporta come una convalescente: è tutta svenevole e carezzevole e piena di misteriose aspettative. Poi, tutto finisce nel nulla. Forse lui l'ha vista e non gli è piaciuta.
Velia invece è un po' disgraziato: è 'idrocefalo', un'anomalia delle cavità cerebrali, che causa un aumento del cranio. Infatti ha una testa molto più grossa del normale, non è molto bello da vedere e forse non è neanche molto intelligente. Si sussurra in famiglia che è così perché i suoi genitori sono cugini. I compagni di scuola, perfidi, lo chiamano 'il marziano'. Tutta la famiglia finirà arrestata dai nazisti e morirà nei lager.
Comincia la scuola; io in quarta e Sergio in seconda elementare. Lui è reduce da una scarlattina per cui è stato ricoverato all'ospedale dei bambini; infatti la scarlattina è una malattia molto infettiva e costringe all'isolamento.
Dalla zia Ethel restiamo per parecchi mesi; il tempo di cercar casa e organizzarci. La mamma incomincia a dimagrire e a star male. La zia, molto premurosa, la riempie di dolci e di cioccolata per tirarla su. Invece è diabete!
A scuola dunque: nuova maestra, brutta e pelosa, nuovi compagni, questa volta anche maschi. Le classi sono piccole e con pochi allievi; quelle delle medie anche, e quelle dei licei con soli tre o quattro ragazzi.
Oltre al programma scolastico facciamo anche lezione di 'talmud Torà' cioè di religione e storia ebraica. Mi annoio abbastanza anche perché il maestro Segrè e un signore molto religioso e per niente divertente.
Papà ci accompagna ,anche per assicurarsi che nessun fascistello fanatico stazioni davanti alla scuola e crei disordini.

Il fatto di abitare in città mi avvicina di più al negozio; fino a ora ci andavo abbastanza raramente. Ho il ricordo di certe grosse casse di legno che arrivavano ogni tanto e che venivano schiodate a grandi mazzate con un rumore che dava molto fastidio. Una volta aperte se ne traevano, dalla paglia che le proteggeva, confezioni di profumi, di saponette, di cipria e rossetti, insomma la merce da vendere. (Acqua di Colonia con il marchio di Isidoro Katz)
In negozio ci sono Olga e Gabriella. Come descrivere questi due personaggi che hanno sempre fatto parte integrale della nostra vita. Sono chiamate affettuosamente le 'putele' le ragazze. Sono signorine e non si sposeranno mai e staranno al loro posto, dietro il banco fino al momento della vendita del negozio molti anni dopo la morte di papà e mamma.
Per tutta la famiglia sono state i lumi tutelari, la fiducia fatta persona, il punto fermo, le confidenti, le custodi dei Lari e dei Penati nei tempi bui dell'occupazione nazista. Avendo loro affidato tutti i beni, negozio compreso, al momento della fuga, hanno riconsegnato tutto nella totale integrità al momento del rientro, con persino qualche piccolo beneficio ottenuto nei magri tempi della guerra.
Sul lavoro, professioniste perfette e amate dalle clienti e dai fornitori.
Il giorno del rientro a Trieste dopo la Svizzera, appena scesi dal treno, precedo tutti sulla strada del negozio pregustando l'incontro con le putele. Arrivo alla porta e loro stanno servendo due clienti; mi vedono ma non si scompongono; prima congedano le signore e solo dopo danno libero sfogo alla gioia. Autentiche professioniste.
Alla fine troviamo casa; un piccolo appartamento fuori dal centro: tre stanze con un piccolo balcone fuori dalla cucina.
Sullo stesso pianerottolo abita una famiglia di Milano; sono Rina e Fabrizio Goffy con la mamma di lui, Rina anche lei. Lui è soldato in Croazia e viene ogni tanto per qualche giorno di licenza.
Diventeranno gli amici più cari della nostra vita. Le figlie che devono ancora nascere, Paola e Anna sono per sempre come sorelle per me e i miei figli le hanno sempre considerato come membri della famiglia; le chiamano le cugine Goffy.
Per ora però, nel 1939, passiamo le serate con le due Rine e Fabrizio, quando c'è.
La vita è totalmente cambiata; cominciano le file per comperare uova o carne, le tessere annonarie da far quadrare, l'aiuto sporadico della portinaia che viene al pomeriggio per sbrigare un po' di faccende domestiche e, se noi facciamo chiasso ci ammonisce 'No stè far sussurro che la mama dormi.'
E' cambiato tutto e per molto tempo niente sarà più come prima.
A Opicina ci si va solo d'estate e proprio, lì, sempre nel giardino dei Fischbein, ci sorprenderà l'8 settembre del 1942.
Ma questa storia è proprio finita e ne comincia un'altra, difficile, avventurosa, pericolosa che, fortunatamente per noi potremmo, se ne avessimo voglia, raccontare.
Ma io non ne ho voglia.

Note biografiche